La gestione dell’alimentazione fuori casa per chi convive con la celiachia è un tema complesso e spesso carico di tensioni.
Comprendiamo che sia inevitabile il senso di esclusione sociale per non poter mangiare un pezzo di pizza come tutti gli altri, eppure ci sono tanti prodotti che sono naturalmente senza glutine e che si possono mangiare quando stiamo fuori: formaggi, carni, pesce, verdure, insalate!
Oggi giorno sempre più ristoranti forniscono menù allergeni chiari e dettagliati, nessun ristoratore può voler rischiare di far star male un proprio cliente, che sia allergico alimentare e celiaco. Anche i ristoratori sono obbligati al rispetto delle norme sugli allergeni. Lavorare in modo pulito è quanto necessario secondo le indicazioni di legge.
Cosa fare quindi?
Leggere o chiedere gli allergeni dei piatti
Comunicare al ristoratore le proprie esigenze per farsi seguire al meglio.
In Italia, più che in molti altri Paesi, il rapporto tra celiaci e ristoratori è diventato un campo minato fatto di disinformazione, paure e incomprensioni. Tuttavia, un approccio basato sul dialogo e sulla collaborazione può fare la differenza, evitando che si crei un corto circuito tra le due parti.
La realtà della celiachia e il panico fuori casa
Chi è celiaco vive quotidianamente l’attenzione verso l’alimentazione e il rischio, spesso percepito in modo eccessivo, di contaminazione. È comprensibile che la consapevolezza di avere una condizione che richiede cautela possa generare ansia. Tuttavia, il panico non deve trasformarsi in una reazione automatica o in un atteggiamento aggressivo verso il ristoratore. Parlare apertamente e in maniera costruttiva è il primo passo per garantire un’esperienza positiva.
Il dialogo come strumento fondamentale
Senza prendere sottogamba la celiachia, che è comunque una malattia autoimmune, bisognerebbe cercare di vivere l’alimentazione fuori casa con un po’ più di serenità. Spesso si assiste a situazioni in cui, al minimo errore, il cliente celiaco si sente autorizzato ad aggredire verbalmente e a far pesare il proprio disagio sulla professionalità del ristoratore. Questo atteggiamento, sebbene comprensibile sotto il profilo emotivo, rischia di generare una spirale di tensioni ingiustificate. Il dialogo, infatti, può trasformare un malinteso in un’opportunità di miglioramento reciproco.
- Chiedere informazioni: Prima di ordinare, è utile domandare chiaramente quali accorgimenti vengono adottati per evitare contaminazioni.
- Esprimere le proprie esigenze: Esporre le proprie esigenze in modo chiaro e con serenità, può aiutare il ristoratore a capire come poter accontentare il cliente trovando il piatto più confacente alla richiesta oppure chiedere alla cucina un adattamento della proposta indicata nel menù.
- Collaborazione e fiducia: Entrambe le parti hanno investito tempo, risorse e denaro: i ristoratori nella formazione del personale e nella gestione della cucina, e i celiaci nella ricerca di luogo che possa essere idoneo. Un confronto sereno è la base per evitare che errori di comunicazione diventino fonte di conflitto.
La disinformazione e il rischio di un corto circuito
La percezione del rischio di contaminazione è spesso amplificata in modo errato, e questo porta a situazioni in cui il celiaco, armato della propria condizione, è pronto a evidenziare ogni minimo passo falso del ristoratore. Questo comportamento, rischia di trasformarsi in una dinamica distruttiva.
E’ vero che può capitare di trovare inservienti che conoscono poco la celiachia, che fanno domande come “che grado di celiachia ha” oppure di non conoscere bene alcuni dettagli rilevanti sulla celiachia, e al tempo stesso i celiaci spesso hanno idee non corrette su shock anafilattici, contaminazioni e sintomi.
Se non siamo i primi a dare corretta informazione, come possiamo contribuire ad informare correttamente un ristoratore?
La strada non è quella di spaventare il ristoratore sostenendo che la minima contaminazione ci farebbe finire in ospedale perché tutto ciò si sta rivelando un boomerang: sempre più ristoratori infatti non vogliono servire pietanze ai celiaci.
- Disinformazione reciproca: La mancanza di una conoscenza approfondita delle reali esigenze alimentari e delle misure preventive porta a fraintendimenti. Da una parte, alcuni celiaci possono vedere ogni imprecisione come una minaccia alla loro salute; dall’altra, i ristoratori, che hanno investito tempo e denaro per formarsi, possono sentirsi ingiustamente accusati.
- Il rischio di polarizzazione: Se questa tensione continua a crescere, potremmo assistere a una riduzione delle opzioni per chi ha bisogno di un’alimentazione senza glutine, poiché i ristoratori potrebbero sentirsi scoraggiati nel proporre piatti dedicati.
Un ulteriore strumento utile è il “Piatto di Harvard”, che suggerisce di dividere il pasto in: metà piatto per verdura e frutta, un quarto per le proteine e un quarto per i carboidrati, privilegiando prodotti naturalmente privi di glutine.
La contaminazione: una preoccupazione sopravvalutata?
Uno degli argomenti più dibattuti riguarda il problema della contaminazione crociata. Spesso il rischio viene ingigantito, e questo porta a reazioni sproporzionate (leggere la sezione contaminazione del sito www.assoceliaci.it per comprendere cosa sia una contaminazione). È importante ricordare che, la legge impone dei protocolli HACCP, che garantiscono igiene e sicurezza (HACCP = Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici), non solo per il celiaco ma in generale per tutti gli utenti.
- Valutazione obiettiva: Invece di aspettare il minimo errore per far pesare la propria patologia sul ristoratore, è fondamentale valutare la situazione in maniera oggettiva e dialogare al riguardo.
- Educazione e collaborazione reciproca: Informarsi sulle reali possibilità e limitazioni, sia da parte dei celiaci che dei ristoratori, può ridurre la tensione e permettere una migliore gestione del rischio.
- Il glutine come nemico: il celiaco spesso attribuisce un sintomi alla presunta contaminazione. Questo nesso causa effetto è spesso errato. Ci sono tanti altre possibili motivazioni ad un malessere non riferito specificatamente al piatto che si è mangiato. Generalmente l’euristica cognitiva di associare un malessere ad un alimento è errata. Paradossalmente la continua attribuzione di un sintomo a una contaminazione da glutine, può causare una sottovalutazione di altre problematiche, che invece andrebbero indagate.
Verso una cultura della collaborazione
In conclusione, l’alimentazione fuori casa per i celiaci non deve essere fonte di conflitto, ma un’occasione per creare un rapporto di fiducia e collaborazione.
- Non è una questione di “colpe” ma di esigenze condivise: Entrambi i lati devono riconoscere il valore dell’altro: il celiaco per la sua necessità di una dieta sicura e il ristoratore per l’impegno nel garantire la qualità e la sicurezza dei propri piatti.
- Il dialogo è la chiave: Parlare apertamente dei propri bisogni e delle possibili criticità può prevenire incomprensioni e creare un ambiente più sereno e rispettoso.
- Investire nella formazione: Sia i ristoratori che i celiaci beneficiano da una maggiore educazione sul tema, che aiuta a demistificare i rischi e a trovare soluzioni concrete per un’alimentazione sicura.
È fondamentale che la tensione attuale, spesso ingiustificata, non porti a un progressivo restringimento delle opportunità gastronomiche per i celiaci. Solo attraverso il dialogo e una maggiore informazione reciproca si potrà creare un ambiente in cui nessuno si senta un peso, ma piuttosto parte integrante di un sistema alimentare inclusivo e attento alle esigenze di tutti.